Leontopodium R.Br. ex Cass., 1817 è un genere di piante erbacee appartenente alla famiglia delle Asteraceae o Compositae.[1]
Il nome del genere (Leontopodium) significa letteralmente “piede leonino”, ed è un adattamento latino del greco “leontopódion” (λεοντοπόδιον) da “léon” (= leone) e “pódion” (= piede), ed è stato introdotto nella nomenclatura floristica dal botanico Robert Brown, nella pubblicazione ”Observations on the Natural Family of Plants Called Compositae” del 1817[2], facendo riferimento alla forma dei capolini fiorali simili ad una zampa di leone[3]. In tedesco prende il nome di Edelweiss.
I dati morfologici si riferiscono soprattutto alle specie europee e in particolare a quelle spontanee italiane.
Sono piante non molto alte (20 – 30 cm). La forma biologica è almeno per le specie europee emicriptofita scaposa, ossia sono piante perenni, con gemme svernanti al livello del suolo e protette generalmente dalla neve, dotate di un asse fiorale eretto e spesso con poche foglie. In genere queste specie sono riccamente lanose per limitare l'eccessiva traspirazione in quanto la maggior parte sono originarie di habitat aridi e secchi. Più il sole è intenso, più si ricoprono della fitta inconfondibile lanugine bianco-argento che rende questo fiore così amabile, tenero e morbido all'aspetto.
Le radici sono secondarie da rizoma.
Le foglie sono sia basali che cauline. Quelle basali formano una rosetta. Sono intere, oblanceolate quelle basali e lanceolate -lineari quelle cauline. Entrambe le superfici possono essere tomentose oppure solo quella inferiore come in Leontopodium alpinum.
Le infiorescenze sono composte da alcuni capolini (3 – 12) raccolti in glomeruli corimbosi terminali circondati da alcune brattee o foglie fiorali. La struttura dei capolini è quella tipica delle Asteraceae: esternamente si ha un involucro campanulato composto da diverse squame che fanno da protezione al ricettacolo sul quale s'inseriscono due tipi di fiori: i fiori esterni ligulati assenti in questo genere, e i fiori del disco centrale tubulosi. Questi ultimi si dividono in due tipi: quelli più periferici sono filiformi e femminili; quelli più interni (centrali) più tubulosi, sono maschili, in realtà sono ermafroditi, ma spesso sono maschili per aborto degli organi del gineceo. L'involucro dell'infiorescenza si compone di diverse vistose foglie bratteali lanceolate, patenti, disposte a stella; la superficie in genere è bianco-lanosa e sono molto più lunghe del diametro del glomerulo di capolini: in effetti è la parte più caratteristica della pianta (assolve alla funzione vessillifera rispetto agli insetti impollinatori). Le squame dei capolini sono colorate di marrone scuro e disposte su più serie.
I fiori sono attinomorfi. Sono tetra-ciclici verticilli: calice – corolla – (androceo – gineceo) e pentameri (calice e formati da 5 elementi)
Dopo la prolungata fioritura, le brattee appassiscono lasciando i capolini femminili fecondati pronti a far maturare i semi. I frutti sono degli acheni granulosi a forma oblungo-ellissoide. Il pappo di colore paglierino si differenzia in setole capillari nei fiori femminili e setole clavate in quelli maschili.
Le specie di questo genere crescono spontaneamente in Asia (India, Cina e Giappone) sulle Ande, sulle Alpi europee e sugli Appennini in particolare l'Appennino Abruzzese. L'habitat tipico sono le zone aride montuose.
La famiglia di appartenenza del genere (Asteraceae o Compositae, nomen conservandum) è la più numerosa del mondo vegetale, comprende oltre 23000 specie distribuite su 1535 generi[4] (22750 specie e 1530 generi secondo altre fonti[5]); mentre questo genere non è molto numeroso: una trentina di specie circa originarie soprattutto dell'Asia Centrale.
È un genere con specie apomittiche[6] (piante a propagazione stolonifera) e quindi di difficile studio. L'origine di questo genere sono le zone montuose calde e aride degli altopiani desertici dell'Asia Centrale. I rilievi montuosi asiatici formatisi nel Miocene hanno contribuito in modo fondamentale alla formazione di varie specie alpine oloartiche[7]. In seguito alcune specie (come ad esempio Leontopodium alpinum e Leontopodium nivale) si sono diffuse in Europa durante le ultime glaciazioni[8]. Il collegamento con le specie asiatiche è dimostrato ampiamente da diversi studi fatti sul genere Leontopodium dai quali risultano gli stretti rapporti filogenetici di parentela con le specie asiatiche pur considerando la notevole disgiunzione geografica tra i due areali[9]. Lo studio appena citato, analizzando le sequenze del ribosoma nucleare e plastidiale di diverse specie del genere Lenotopodium sia europee che asiatiche, ha evidenziato una sostanziale monofilia del gruppo (compreso il genere Sinoleontopodium), identificando all'interno tre gruppi filogenetici, uno di quali è quello europeo che pur formando un gruppo distinto geneticamente risulta in realtà poco divergente dai “parenti” tibetani indicando quindi una separazione avvenuta in tempi relativamente recenti.
L'elenco seguente è una selezione delle specie di Leontopodium[10][11]. Le due uniche specie italiane sono descritte più dettagliatamente.
L'unico impiego che attualmente hanno queste piante è nel giardinaggio roccioso e alpino. In effetti non si incontrano grandi difficoltà a coltivarle, basta piantarle sempre a settentrione su substrati leggeri (calcarei), ghiaiosi e ben drenati; pur tuttavia (a parte la specie Leontopodium alpinum impiegata nel giardinaggio europeo fin dal 1776) è soltanto nel 1915 che nelle coltivazioni orticole venne introdotta un'altra specie di questo genere: Leontopodium haplophylloides una “Stella alpina” a fiore profumato di limone proveniente dal Kansu e Szechwan settentrionale[3].
Una stella alpina è effigiata sulla moneta da due centesimi di euro dell'Austria.
Leontopodium R.Br. ex Cass., 1817 è un genere di piante erbacee appartenente alla famiglia delle Asteraceae o Compositae.